lunedì 31 maggio 2010

Corso di Astrofografia Digitale

 

Avete paura del buio?   
Allora non avete ancora seguito il minicorso di astrofotografia. Questo è articolato in quattro conferenze che si terranno a Barzago, presso la sede del GAC, nel periodo Giugno – Dicembre 2010.
INGRESSO LIBERO. Prenotazione obbligatoria nel caso di gruppi numerosi (> 10 persone).

I temi trattati saranno:
• 04 Giugno: Le DSLR e l’astronomia,
• 24 Settembre: Acquisizione di immagini astronomiche,
• 22 Ottobre: Acquisizione di immagini astronomiche con
webcam commerciali,
• 19 Novembre: Elaborazione di immagini astronomiche*.

* In omaggio per i partecipanti tutto il software necessario per l’elaborazione di immagini astronomiche
(Windows, Linux OS).

Come raggiungerci? Visita il nostro sito www.amicidelcielo.it
A cura del Gruppo Amici del Cielo
Via Leopardi, 1 – 23890 Barzago (LC)
organizzato dal gruppo astrofili Amici del Cielo (GAC).

Corso di Astrofografia Digitale

 

Avete paura del buio?   
Allora non avete ancora seguito il minicorso di astrofotografia. Questo è articolato in quattro conferenze che si terranno a Barzago, presso la sede del GAC, nel periodo Giugno – Dicembre 2010.
INGRESSO LIBERO. Prenotazione obbligatoria nel caso di gruppi numerosi (> 10 persone).

I temi trattati saranno:
• 04 Giugno: Le DSLR e l’astronomia,
• 24 Settembre: Acquisizione di immagini astronomiche,
• 22 Ottobre: Acquisizione di immagini astronomiche con
webcam commerciali,
• 19 Novembre: Elaborazione di immagini astronomiche*.

* In omaggio per i partecipanti tutto il software necessario per l’elaborazione di immagini astronomiche
(Windows, Linux OS).

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organizzato dal gruppo astrofili Amici del Cielo (GAC).

martedì 6 aprile 2010

Briosco 02 Aprile 2010

Luogo di osservazione: Briosco (MB)
Data: 02 Marzo 2010
Scopo dell'osservazione: riprendere Mercurio.
Oggetti osservati: Sole, Venere, Mercurio.
Oggetti fotografati: Sole (in particolare il gruppo di macchie 1057), Mercurio.
Condizioni atmosferiche: cielo sereno.
Seeing: III della scala Antoniadi.
Inquinamento luminoso: assente.
Note: L'osservazione è cominciata nel pomeriggio con l'osservazione del Sole ed in particolare del gruppo di macchie 1057. Successivamente si è cercato il pianeta Venere e dopo alcune difficoltà a seguito di un non perfetto stazionamento dello strumento, il pianeta era al centro del campo di un oculare Plossl 40 mm. Individuato Venere sono state corrette le ghiere di A.R. e declinazione al fine di trovare Mercurio tra le luci del giorno. Purtroppo le fatiche sono state vane e l'unico oggetto visibile oltre al Sole restava Venere. Dopo il tramonto, all'imbrunire, partendo da Venere è stato possibile con piccoli movimenti in A.R. e declinazione individuare nel campo dell'oculare Plossl 40 mm Mercurio. Questo si presentava come una debole stella tra le luci del tramonto.
Il seeing peggiorava drasticamente con il passare dei minuti e in un quarto d'ora si è passati da un seeing III/IV ad un seeing V della scala Antoniadi. Durante la ricerca di Mercurio in luce diurna si sono sperimentate le seguenti modifiche, utili e facili da apportare. Con un cartoncino si è costruito un paraluce molto lungo per il cercatore 6 x 30 del telescopio riflettore Newton SkyWatcher 150 mm f/5. Tale paraluce permette di evitare riflessi interni dovuti alla vicinanza del disco solare (non filtrato) al pianeta. Il secondo accorgimento consiste in un foglio di carta bianca, formato A4, con un buco al centro del diametro pari a quello del paraluce del nostro cercatore. Una volta infilato il foglio nel cercatore, è possibile schermare il volto (e gli occhi) dalla luce diretta del Sole.
Infine, per ridurre la quantità di luce proveniente dal fondo cielo, è possibile diaframmare il telescopio. Nel nostro caso abbiamo ridotto il diametro a 50 mm. Durante le riprese di Mercurio effettuate con la webcam si è notato come la presenza di questo diaframma migliori la qualità complessiva dell'immagine. Infatti, come verificato lo scorso anno con Venere, anche con Mercurio si ha una distorsione dell'immagine. Questa consiste in un piccolo alone asimmetrico luminoso dovuto, molto probabilmente, a problemi di ostruzione del secondario e/o focheggiatore. Problema amplificato anche dal basso valore del rapporto focale dello strumento. 


Macchie numero 1057 - 02 Aprile 2010 ore 15.28 U.T., webcam Philips SPC 900 NC a fuoco diretto del telescopio Newton 150 mm f/5 su montatura EQ 3.2. Filtro solare autocostruito in Mylar a tutta apertura + filtro IR cut Astronomik da 31.8 mm. Somma di 540 frame selezionati a partire da un campione di circa 700 effettuata con Registax 5.0.2.8.



Mercurio - 02 Aprile 2010 ore 18.04 U.T., webcam Philips SPC 900 NC + lente di Barlow acromatica 3x Heyford a fuoco diretto del telescopio Newton 150 mm f/5 diaframmato a f/15 su montatura EQ 3.2. Filtro IR cut Astronomik da 31.8 mm. Somma di 363 frame selezionati a partire da un campione di circa 700 effettuata con Registax 5.0.2.8.





Il Sole e Mercurio - elaborazioni effettuate con Photoshop CS4.

Conclusioni: Questa è la prima ripresa del pianeta Mercurio. Malgrado sia stato osservato tra le luci del tramonto, la sua scarsa altezza dall'orizzonte ovest ha penalizzato drasticamente la qualità dell'immagine. In questi giorni, se possibile, cercheremo di riprendere nuovamente il pianeta sino alla sua massima elongazione. La costruzione del paraluce e schermo per il cercatore 6 x 30 si è rivelata molto utile per le osservazioni diurne. In futuro dovremo testare la riduzione del diametro dello strumento per le riprese di pianeti luminosi come Venere. Nota dolente il cattivo puntamento polare e la serie di macchie sul filtro IR cut e/o sensore della webcam.

mercoledì 31 marzo 2010

Briosco 31 Marzo 2010

Luogo di osservazione: Briosco (MB)
Data: 31 Marzo 2010
Scopo dell'osservazione: riprendere l'asteroide Vesta.
Oggetti osservati: Vesta, M44, Marte.
Oggetti fotografati: Vesta, M44, Marte.
Condizioni atmosferiche: cielo sereno e limpido. Umidità al suolo.
Seeing: non rivelato.
Inquinamento luminoso: discreto per un cielo suburbano mantenendosi però di classe 8 (scala di Bortle).
Note: Dato che la costellazione della Vergine era immersa in una tenue coltre di nubi, resto di un temporale appena passato (oltre all'alto livello di umidità al suolo), con la Luna praticamente piena, si è deciso di non riprendere la cometa Wild2 al massimo splendore, ma di cercare l'asteroide Vesta posizionato nel Leone. Facilmente individuato a sud della stella epsilon Leo visibile ad occhio nudo è stato ripreso con lo zoom Canon EF 70 - 300 mm f/4-5.6 IS USM a 110 mm. La messa a fuoco è risultata particolarmente semplice, forse a causa delle corte focali o solo per fortuna. Una volta individuato il fuoco non è stato più toccato durante tutta la sessione fotografica. Lo zoom è stato dotato di paraluce per evitare le luci parassite e l'umidità. Le riprese sono state effettuate in remoto date le temperature miti delle prime notte primaverili. Dopo aver ripreso Vesta si è deciso di puntare Marte che si trova vicino all'ammasso aperto M44 detto "Presepe" nel Cancro. Fortunatamente con la stessa focale (risparmiando così duplici dark e flat) si riusciva ad inquadrare M44 e Marte nello stesso campo. Le pose sono state effettuate a 1000 ISO dato che dopo 30 secondi di posa era evidente l'effetto mosso. Questo è forse dovuto principalmente alla non buona messa in stazione dello strumento. Si richiederà quindi in futuro un puntamento più preciso della stella Polare, magari utilizzando i metodi del disco orario o di Bigourdan. Marte e M44 inoltre erano vicino ad un tetto e quindi i possibili gradienti rimasti anche dopo l'elaborazione effettuata con IRIS potrebbero essere causati proprio da questo fattore. Vesta è il primo asteroide che ho osservato e ripreso (volontariamente) con una fotocamera.


Vesta e NGC 2903 - 31 Marzo 2010 22.02 - 22.21 U.T.
Somma di 24 pose da 30 seconda a 1000 ISO elaborate con 40 offset/bias, 22 dark e 51 flat; effettuata con IRIS e Photoshop CS4. Camera Canon EOS 40D con zoom Canon EF 70 - 300 mm f/4-5.6 IS USM utilizzato a 110 mm chiuso a f/5.6. Scatto remoto.



 
Marte e M44 - 31 Marzo 2010, 22.26 - 22.34 U.T. Somma di 12 pose da 30 seconda a 1000 ISO elaborate con 40 offset/bias, 22 dark e 51 flat; effettuata con IRIS e Photoshop CS4. Camera Canon EOS 40D con zoom Canon EF 70 - 300 mm f/4-5.6 IS USM utilizzato a 110 mm chiuso a f/5.6. Scatto remoto.


Vesta, Marte e l'ammasso aperto M44 - elaborazioni effettuate con Photoshop CS4.

Conclusioni: malgrado l'inquinamento luminoso, effettuando molteplici riprese con dark, bias e flat è possibile ottenere dei buoni risultati. Interessante è la ripresa di Vesta, dove involontariamente in basso a destra è stata ripresa, al limite del sensore, la galassia NGC 2903. Questo fatto apre la possibilità, durante le notti più limpide, di riprendere oggetti del profondo cielo anche da cieli urbani. Peccato per il puntamento polare non buono.

Briosco 27 Marzo 2010


Luogo di osservazione: Briosco (MB)
Data: 27 Marzo 2010
Scopo dell'osservazione: riprendere i gruppi di macchie 1057, 1059.
Oggetti osservati: Sole, Venere.
Oggetti fotografati: Sole (in particolare i gruppi di macchie 1057, 1059), Venere.
Condizioni atmosferiche:
sereno con raffiche di vento mediamente molto deboli.
Seeing: II/III della scala Antoniadi.
Inquinamento luminoso: assente.
Note: Il gruppo di macchie 1057 è stato ripreso in due intervalli diversi di tempo. Una prima ripresa è stata effettuata con la webcam + lente di Barlow 3x e filtro IR cut è al fuoco del Newton SkyWatcher 150 mm f/5 alle ore 11.13 U.T. mentre una seconda alle ore 12.27 U.T mostrando un peggioramento del seeing con il passare delle ore. Malgrado la pulizia della lente di Barlow le macchie visibili nella scorsa ripresa non sono sparite, molto probabilmente indice che queste si trovano o sul filtro IR cut o sul sensore CCD. Alla fine della sessione fotografica si è ripreso il gruppo di macchie 1059 sul bordo solare. Questo stava sfuggiendo ad una prima osservazione distratta del disco solare. Al fine di cercare Mercurio tra le luci del giorno, si è cercato il pianeta Venere. Dopo alcune difficoltà dovute alla non perfetta taratura della ghiera di declinazione Venere è stato centrato in un oculare Plossl da 40 mm e ripreso con la webcam nelle medesime condizioni precedenti. I gruppi di macchie 1057 e 1059 sono stai poi ripresi senza lente di Barlow e a fuoco diretto del telescopio tramite fotocamera digitale Canon EOS 40D. A tutte le riprese effettuate con le webcam non è stato applicato ne dark ne flat.


Sole - 27 Marzo 2010 ore 14.17 U.T., Canon EOS 40D a fuoco diretto del telescopio Newton SkyWatcher 150 mm f/5 su montatura EQ 3.2. Filtro solare autocostruito in Mylar a tutta apertura. Singola posa da 1/1000 secondo a 100 ISO (scatto remoto).


Macchie numero 1057 - 27 Marzo 2010 ore 13.32 - 13.35 U.T., webcam Philips SPC 900 NC a fuoco diretto del telescopio Newton 150 mm f/5 su montatura EQ 3.2. Filtro solare autocostruito in Mylar a tutta apertura + filtro IR cut Astronomik da 31.8 mm. Somma di 937 frame (157 + 420 + 360) selezionati a partire da un campione di circa 2100 effettuata con Registax 5.0.2.8.
 

Macchia numero 1057 - 27 Marzo 2010 ore 12.14 - 12.23 U.T., webcam Philips SPC 900 NC + lente di Barlow acromatica 3x Heyford a fuoco diretto del telescopio Newton 150 mm f/5 su montatura EQ 3.2. Filtro solare autocostruito in Mylar a tutta apertura + filtro IR cut Astronomik da 31.8 mm. Somma di 1303 frame (431 + 442 + 430) selezionati a partire da un campione di circa 2100 effettuata con Registax 5.0.2.8.



Macchia numero 1057 - 27 Marzo 2010 ore 13.05 - 13.28 U.T., webcam Philips SPC 900 NC + lente di Barlow acromatica 3x Heyford a fuoco diretto del telescopio Newton 150 mm f/5 su montatura EQ 3.2. Filtro solare autocostruito in Mylar a tutta apertura + filtro IR cut Astronomik da 31.8 mm. Somma di 3980 frame (401 + 434 + 368 + 346 + 400 + 423 + 315 + 221 + 506 + 254 + 312) selezionati a partire da un campione di circa 7700 effettuata con Registax 5.0.2.8.


Macchie numero 1059 - 27 Marzo 2010 ore 14.12 U.T., webcam Philips SPC 900 NC a fuoco diretto del telescopio Newton 150 mm f/5 su montatura EQ 3.2. Filtro solare autocostruito in Mylar a tutta apertura + filtro IR cut Astronomik da 31.8 mm. Somma di 456 frame selezionati a partire da un campione di circa 700 effettuata con Registax 5.0.2.8.


 Macchia numero 1059 - 27 Marzo 2010 ore 14.03 - 14.08 U.T., webcam Philips SPC 900 NC + lente di Barlow acromatica 3x Heyford a fuoco diretto del telescopio Newton 150 mm f/5 su montatura EQ 3.2. Filtro solare autocostruito in Mylar a tutta apertura + filtro IR cut Astronomik da 31.8 mm. Somma di 1521 frame (340 + 454 + 357 + 370) selezionati a partire da un campione di circa 2800 effettuata con Registax 5.0.2.8.



Venere in luce diurna - 27 Marzo 2010 ore 13.50 U.T., webcam Philips SPC 900 NC + lente di Barlow acromatica 3x Heyford a fuoco diretto del telescopio Newton 150 mm f/5 su montatura EQ 3.2. Filtro IR cut Astronomik da 31.8 mm. Somma di 336 frame selezionati a partire da un campione di circa 700 effettuata con Registax 5.0.2.8.


Il Sole, i gruppi di  macchie numero 1057, 1059 e Venere - elaborazioni a falsi colori (tranne Venere) effettuate con Photoshop CS4.

Conclusioni: le riprese ed il seeing hanno permesso una buona ripresa soprattutto del gruppo di macchie 1057. Per quanto riguarda la ripresa di Venere è stata la prima in luce diurna e le macchie sul sensore e/o filtro IR cut hanno dato non pochi problemi durante la fase di elaborazione delle immagini.

lunedì 15 marzo 2010

Briosco 14 Marzo 2010 n

Luogo di osservazione: Briosco (MB)
Data: 14 Marzo 2010
Scopo dell'osservazione: testare nuove tecniche di acquisizione di immagini astronomiche.
Oggetti osservati: M42, M43, M35, M45, Marte.
Oggetti fotografati: M42, M43, M35, Marte.
Condizioni astronomiche: Cielo sereno, assenza di vento, umidità piuttosto elevata.
Seeing: IV della scala Antoniadi.
Inquinamento luminoso: molto intenso, amplificato dall'umidità in atmosfera.
Note: obbiettivo della serata era riprendere numerosi scatti con tempi inferiori al minuto e ISO medio alti della nebulosa M42. Il tutto supportato da dark, flat e bias. Date le non buone condizioni fisiche personale, l'umidità e l'elevato inquinamento luminoso, dopo pochi minuti si è deciso di rinunciare al target prefissato. Inoltre lo stazionamento della montatura non era buono, effettuato con il semplice mirino polare senza metodo di Bigourdan. Inoltre l'ottica non era perfettamente bilanciata creando oscillazioni che sono state abolite solamente dopo l'ausilio della tecnica del cartoncino nero. Si è deciso comunque di riprendere per l'ultima volta M42, ormai basso sull'orizzonte sud-ovest. L'immagine è risultata mossa e priva di dettaglio a seguito dell'intenso inquinamento luminoso. Successivamente, dopo aver provato a riprendere l'ammasso aperto delle Pleiadi M45, anch'esso basso sull'orizzonte ovest, si è deciso di cercare l'ammasso aperto M35 nei Gemelli mai osservato/fotografato in precedenza. Un oggetto veramente impressionante. Bellissimo ed esteso. Un vero peccato non averlo "scoperto" prima! Inoltre le dimensioni angolare sono veramente grandi e sarà facile preda per una ripresa con il 300 mm a breve o durante la primavera del prossimo anno. Per concludere la serata si è deciso di riprendere Marte che però dato il pessimo seeing non ha mostrato nessun particolare degno di nota.


 M42, M43 - 14 Marzo 2010 ore 20.01-20.10 U.T., fotocamera Canon EOS 40D a fuoco diretto del telescopio Newton 150 mm f/5 su montatura EQ 3.2. Somma di 5 immagini effettuata con IRIS:
25 secondi 3600 ISO + 20 secondi 800 ISO + 32 secondi 800 ISO + 50 secondi 800 ISO + 25 secondi 3600 ISO.
 
 
M42, M43 - 14 Marzo 2010 ore 20.01-20.10 U.T., elaborazione dell'immagine precedente effettuata con Photoshop CS4
M35, NGC 2158 - 14 Marzo 2010 ore 20.42 U.T., fotocamera Canon EOS 40D a fuoco diretto del telescopio Newton 150 mm f/5 su montatura EQ 3.2. Singola immagine da 60 secondi a 3600 ISO elaborata con IRIS.
 
 
M35, NGC 2158 - 14 Marzo 2010 ore 20.42 U.T., elaborazione dell'immagine precedente effettuata con Photoshop CS4.
 Marte - 14 Marzo 2010 ore 21.09 U.T., webcam Philips SPC 900 NC + lente di Barlow acromatica 3x Heyford a fuoco diretto del telescopio Newton 150 mm f/5 su montatura EQ 3.2. Somma di 500 frames effettuata con Registax 5.1.0.2.
 
Conclusioni: serata non del tutto positiva dato che non è stato raggiunto l'obbiettivo prefissato anche se la "scoperta" dell'oggetto M35 è una good news per le future riprese primaverili / tardo invernali.

domenica 14 marzo 2010

Briosco 14 Marzo 2010 d

Luogo di osservazione: Briosco (MB)
Data: 14 Marzo 2010
Scopo dell'osservazione: riprendere il gruppo di macchie 1054.
Oggetti osservati: Sole
Oggetti fotografati: Sole ed in particolare il gruppo di macchie 1054.
Condizioni atmosferiche: sereno con raffiche di vento mediamente deboli.
Seeing: II/III della scala Antoniadi
Inquinamento luminoso: assente.
Note: Il gruppo di macchie 1054 si presentava esteso e di facile messa a fuoco anche con la lente di barlow 3x. Malgrado il vento il seeing prevalentemente di livello III, a volte si presentava di livello II in particolare durante o poco dopo le raffiche di vento. Durante la fase di"smontaggio" dello strumento, la luce diretta del Sole, passata per pochi secondi attraverso l'ottica del riflettore Newton, ha quasi forato il tappo di protezione del focheggiatore. Durante l'elaborazione delle immagini del gruppo di macchie 1054 si è deciso di sommare i risultati di 11 elaborazione di altrettanti filmati AVI ciascuno dei quali formato da 500/1000 frames.
Non si è eseguito il flat ed il dark anche se questa volta, a seguito di una macchia situata probabilmente sul filtro IR cut, poteva essere un utile strumento per migliorare la qualità dell'immagine finale.


Sole - 14 Marzo 2010 ore 11.49 U.T., Canon EOS 40D a fuoco diretto del telescopio Newton SkyWatcher 150 mm f/5 su montatura EQ 3.2. Filtro solare autocostruito in Mylar a tutta apertura. Singola posa da 1/640 secondo a 100 ISO (scatto remoto). 


 Macchie numero 1054 - 14 Marzo 2010 ore 11.26-11.44 U.T., webcam Philips SPC 900 NC + lente di Barlow acromatica 3x Heyford a fuoco diretto del telescopio Newton 150 mm f/5 su montatura EQ 3.2. Filtro solare autocostruito in Mylar a tutta apertura + filtro IR cut Astronomik da 31.8 mm. Somma di 7004 frames effettuata con Registax 5.1.0.2. I 7004 frames sono distribuiti nel seguente modo:
500 + 500 + 1000 + 1000 + 1000 + 501 + 501 + 500 + 500 + 501 + 501


Il Sole e macchie numero 1054 - elaborazione a falsi colori effettuata con Photoshop CS4

Conclusioni: questa è stata la mia prima ripresa effettuata con una webcam di un gruppo di macchie solari così esteso. Unico probabile miglioramente potrebbe essere la realizzazione di un flat field.

domenica 28 febbraio 2010

Cazzaniga 13-14 Febbraio 2010

 
Luogo di osservazione: Rifugio Cazzaniga - Merlini, Piani d'Artavaggio (LC)
Data: 13-14 Febbraio 2010
Scopo dell'Osservazione: riprendere la nebulosa M42 con lo zoom Canon EF 70 - 300 mm f/4-5.6 IS USM.
Oggetti osservati: M42, 43
Condizioni atmosferiche: sereno, assenza di vento al suolo. Temperatura: -9°C umidità pari a circa l'80-90%. Luna nuova.
Seeing: Livello IV scala Antoniadi.
Inquinamento luminoso: Classe 5 scala di Bortle.
Note: La serata è parte del Campo Astronomico Invernale organizzato dal Gruppo Amici del Cielo presso il rifugio Cazzaniga - Merlini a 2000 metri sopra il livello del mare. Lo strumento a mia disposizione era il telescopio di guida SkyWatcher 70 mm f/7.1 con oculare Or. 12.5 mm Vixen a reticolo illuminato, la fotocamera Canon 40D e lo zoom Canon EF 70 - 300 mm f/4-5.6 IS USM. Il tutto montato su una SkyWatcher EQ 3.2 proprietà del Gruppo Amici del Cielo. Le basse temperature e l'alto tasso di umidità hanno creato uno stato di ghiaccio su tutta la montatura che dopo i primi scatti ha smesso di funzionare correttamente. Stazionamento effettuato semplicemente con mirino polare senza metodo di Bigourdan.
Malgrado lo sbalzo termico caldo/freddo tra l'esterno e l'interno del rifugio, l'aver rinchiuso obbiettivo e macchina fotografica in un sacchetto ermetico ha completamente evitato il problema della condensa. 
Di seguito riportiamo le immagini riprese nella serata: 


M42, M43 - 13-14 Febbraio 2010 ora 22:04/22:35 T.U., Canon EF 70 - 300 mm f/4-5.6 IS USM utilizzato a 300 mm, somma di 10 pose da 120 secondi circa a 800 ISO (senza dark, offset/bias e flat). Ripresa effettuata in parallelo del rifrattore SkyWatcher 70 mm f/7.1 con oculare Or. 12.5 mm Vixen a reticolo illuminato su montatura E.Q. 3.2. Elaborazione IRIS e Photoshop CS4

Conclusioni: il problema alla montatura non ha permesso di raggiungere il risultato cercato ovvero un'immagine con più light frame e dark di quella ripresa a Briosco il 02 Febbraio anche se i risultati parziali ottenuti sono molto promettenti. L'appuntamento con la nota nebulo è quindi solo rimandato. Si noti inoltre come sia diminuito l'effetto di tensionamento delle ottiche precedentemente osservato. Questo potrebbe essere dovuto ad una migliore messa a fuoco. Un dettaglio della ripresa è riportato di seguito.

 

Guida - L'immagine mostra la "diminuzione" della tensione delle ottiche mentre evidente è il mosso a seguito dei problemi riscontrati con la montatura a seguito delle basse temperature ed alto tasso di umidità

Riportiamo di seguito alcune immagini del paesaggio notturno visto dal rifugio Cazzaniga Merlini:



Rifugio Nicola - Paesaggio notturno del Rifugio Nicola. Sullo sfondo l'inquinamento luminoso in direzione Milano


Resegone - Monte Resegone. Sullo sfondo l'inquinamento luminoso in direzione Milano


Monte Soldadura - il monte a forma di piramide alle spalle del rifugio Cazzaniga Merlini


Rifugio Cazzaniga Merlini - una ripresa notturna del bellissimo rifugio ai Piani di Artavaggio (http://www.rifugiocazzaniga.it/)

Briosco 02 Febbraio 2010

Luogo di osservazione: Briosco (MB)
Data: 02 Febbraio 2010
Scopo dell'Osservazione: testare l'obbiettivo zoom Canon EF 70 - 300 mm f/4-5.6 IS USM.
Oggetti osservati: M42, M43
Condizioni atmosferiche: sereno a tratti velato, assenza di vento al suolo. Durante la posa alcuni veli nuvolosi sono passati nei dintorni della nebulosa. Luna quasi piena al sorgere.
Seeing: non rivelato.
Inquinamento luminoso: discreto per un cielo suburbano mantenendosi però di classe 8 (scala di Bortle).
Note: L'obbiettivo Canon EF 70 - 300 mm f/4-5.6 è stato utilizzato per questa ripresa a 300 mm di focale f/5.6 in parallelo al rifrattore SkyWatcher SkyWatcher 70 mm f/7.1 (montatura EQ 3.2) con fotocamera Canon EOS 40D. Lo zoom si presenta subito più leggero e maneggevole del vecchio Tamron 80 - 210 mm anche se la testina Witty 1 della Baader Planetarium ha mostrato subito i suoi limiti cedendo al peso dell'obbiettivo.
La messa a fuoco dello zoom Canon si è rivelata difficoltosa a causa della breve corsa fornita dalla ghiera. E' inoltre quasi impossibile focalizzare una stella debole attraverso il vetrino della DSLR. 
Completamente assente la fastidiosa aberrazione cromatica osservata con lo zoom Tamron 80 - 210 mm anche se come visibile nell'ingrandimento qui sotto sembra presente un lieve tensionamento delle ottiche (http://www.saocenter.it/Strumenti/Star%20Test/Star%20Test.htm). 


Aberrazioni - ipotetico tensionamento delle ottiche dello zomm Canon EF 70 - 300 mm f/4-5.6 IS USM

Riportiamo di seguito l'immagine ripresa:



M42, M43 - 02 Febbraio 2010 ora 21:19/21:42, Canon EF 70 - 300 mm f/4-5.6 IS USM utilizzato a 300 mm, somma di 29 pose da 30 secondi circa a 800 ISO (14 dark, 30 offset/bias, 51 flat ripresi il 03 Febbraio 2010 da casa). Foto ripresa senza guida su montatura E.Q. 3.2. Elaborazione IRIS e Photoshop CS4

Conclusioni: questa posa ha dimostrato come la strumentazione astronomica a disposizione sia ben collaudata e pronta per effettuare riprese di oggetti luminosi da cieli più bui. Unica nota negativa il tensionamento delle ottiche, la presenza della Luna e le valature nuvolose nei dintorni della nebulosa.

venerdì 22 gennaio 2010

Briosco 19 Gennaio 2010

Luogo di osservazione: Briosco (MB)
Data: 19 Gennaio 2010
Scopo dell'Osservazione: riprendere Marte.
Oggetti osservati: Marte.
Condizioni atmosferiche: sereno, assenza di vento. Formazione di ghiaccio sul telescopio.
Seeing: livello III - IV scala Antoniadi.
Inquinamento luminoso: discreto per un cielo suburbano mantenendosi però di classe 8 (scala di Bortle).
Note: Il seeing non ha permesso di ottenere una buona visione di Marte che oltretutto volgeva al Sole una parte del disco povera di particolari. Malgrado tutto la calotta polare nord era ben visibile. Quando la webcam veniva posta fuori dal fuoco, l'immagine si triplicava con una decisa diminuzione dei particolari superficiali ed un'evidente storpiatura del disco. Questo effetto fastidioso persisteva sino ad una "quasi perfetta" messa a fuoco. In futuro si consiglia una revisione della collimazione dello strumento (SkyWatcher Newton 150 mm f/5).



Marte - 19 Gennaio 2010 ore 22.32 U.T., webcam Philips SPC 900 NC + lente di Barlow acromatica 3x Heyford a fuoco diretto del telescopio Newton 150 mm f/5 su montatura EQ 3.2. Filtro IR cut Astronomik da 31.8 mm. Somma di 150 frames selezionati da 1001 frames originali effettuata con Registax 5.1.0.2. Ripresa AVI da 100 secondi a 10 fps. Elaborazione dei colori effettuata con Photoshop CS2. Si riporta anche la simulazione del disco di Marte effettuata con Mars Previewer II (2.01)

Conclusioni: questa è stata la mia prima ripresa di Marte effettuata con una webcam. I risultati, dato il seeing, possono ritenersi più che soddisfacenti. In futuro è necessaria una revisione delle ottiche ed aspettare una regione del disco maggiormente ricca di particolari.

domenica 17 gennaio 2010

Elaborazione Immagini

Riportiamo di seguito il frutto dell'elaborazione di un'immagine, ripresa da Sormano il 19 Dicembre 2009, effettuata con IRIS seguendo le indicazioni riportate in http://www.ariadivetro.it/index.php?option=com_content&view=article&id=75&Itemid=37 :




La Via Lattea in Perseo - 19 Dicembre 2009 ore 20.06/20.59 U.T., Canon EF-S 18-55 mm f/5.0 utilizzato a 18 mm, somma di 6 pose da 600 secondi circa a 250 ISO (2 dark, 10 offset/bias, 10 flat ripresi il 20 Dicembre da casa). Foto ripresa senza guida su montatura EQ 3.2.

L'Astrofotografia Digitale

1. L'Immagine Digitale

Digital Single Lens Reflex (DSLR)
Le Digital Single Lens Reflex (DSLR), note ai più come reflex digitali sono delle semplici macchine fotografiche in cui la pellicola è stata sostituita da un sensore a semiconduttore. Mentre in passato era possibile ottenere il massimo da una fotografia agendo sul processo di sviluppo, oggi gioca un ruolo fondamentale il processo di acquisizione ed elaborazione delle immagini digitali. Inoltre a differenza delle macchine fotografiche analogiche dove la pellicola esposta alla luce diventava, una volta sviluppata, la vera e propria fotografia, nelle DSLR le informazioni accumulate nel sensore a semiconduttore vengono convertite in immagini che noi osserviamo sul monitor del nostro computer. Quindi nell’era digitale è importante conoscere a fondo il funzionamento del sensore e come, a partire da questo, viene costruita l’immagine finale. In questo capitolo approfondiremo in particolare quest’ultimo aspetto mentre a partire dal secondo analizzeremo il processo di elaborazione e somma di più immagini.



Il sensore
Lo sviluppo della fotografia digitale deve la sua origine all’invenzione dell’elemento fotosensibile a semiconduttore o photosite. Il funzionamento di questo componente elettronico è piuttosto semplice ragionando in termini di fotone. Un fotone possiamo immaginarlo come un singolo raggio di luce emesso dall’oggetto celeste che vogliamo riprendere. Una galassia, seppur debole, emette un numero incredibile di fotoni al secondo! Questi fotoni vengono focalizzati dallo schema ottico posto di fronte alla fotocamera digitale, sia esso un telescopio o un “semplice” obbiettivo, su un piano (focale) dove è situato l’elemento fotosensibile costituito da atomi di Silicio. I nuclei di questi ultimi, in condizioni normali, trattengono fortemente i propri elettroni che si dicono essere in banda di valenza. Quando arriva un fotone questo può urtare l’atomo di Silicio e strappargli un elettrone. Tale elettrone si dice essere così in banda di conduzione. A questo punto il fotoelemento è in grado di catturare questo elettrone “libero” ed accumularlo in una cella capacitiva. Il numero di elettroni nella cella genera così un segnale analogico (differenza di potenziale) proporzionale al numero di fotoni che hanno colpito il fotoelemento durante l’intera esposizione.
Ma che cos’è allora un sensore? Un sensore è semplicemente una griglia o matrice di elementi fotosensibili a semiconduttore e può essere di tipo CCD o CMOS. Nel primo caso (si parla di Charge-Coupled Device) il segnale analogico globale viene creato a partire da quello generato in ogni singolo fotoelemento. Questo successivamente viene amplificato, convertito in segnale digitale e mandato al computer della fotocamera.
Nel secondo caso (si parla di Complementary Metal Oxide Semiconductor) il segnale analogico di ogni cella viene amplificato uno per uno tramite piccoli amplificatori. Questo verrà poi trasformato in segnale digitale e mandato al computer.
Se anni fa vi era una differenza sostanziale tra CCD e CMOS, oggi i due tipi di sensori sono praticamente equivalenti sotto quasi tutti gli aspetti (rumore, risoluzione, …).
Ogni singolo fotoelemento a semiconduttore nelle DSLR è un quadrato con dimensione tipica pari a circa e può accumulare sino a circa 40 000 elettroni. Nel caso particolare del sensore CMOS montato sulla DSLR Canon EOS 40D le dimensioni del fotoelemento sono pari a . Il numero totale di fotoelementi presenti in un sensore determinano il numero di pixel della DSLR (vedremo che la parola pixel è, in questo caso, un abuso di notazione). Nel caso della Canon EOS 40D il sensore è costituito da fotoelementi ovvero 10.077.696 pixel (10.1 Megapixel).
Un altro parametro importante per quanto riguarda i sensori è la discretizzazione. Con questo termine si vuole indicare il fatto che il numero di elettroni accumulati in un fotoelemento è necessariamente discreto. Questo spiega perché una fotocamera digitale non può distinguere tra un numero infinito di livelli di luminosità.
I livelli di luminosità vengono assegnati durante la fase di conversione del segnale analogico generato dai fotoelementi in segnale digitale. In particolare il numero di tali livelli dipendono dal numero di bit impiegati nella digitalizzazione del segnale. Nel caso della Canon EOS 40D la digitalizzazione avviene a 14 bit (processore DIGIC III) e quindi si hanno a disposizione 16.384 livelli dove al numero 0 è associato il nero e al numero 16.383 il bianco.
Come si può vedere il numero di livelli è inferiore al massimo numero di elettroni accumulabili in un fotoelemento con una perdita di segnale. Lo studio di processori che utilizzano un numero di bit sempre più grandi sono una richiesta fondamentale per lo sviluppo delle DSLR.
Prima di concludere questa digressione sui sensori è necessario ricordare che per le fotocamere digitali con ISO intendiamo il fattore di amplificazione del segnale durante il processo di digitalizzazione. Ovviamente il rumore, dettato dall’amplificatore, giocherà un ruolo importantissimo nell’aumento del numero di ISO. Per la Canon EOS 40D il massimo numero di ISO è fissato a 3.200.


Dal fotoelemento al pixel

In questo paragrafo vedremo il passaggio dal concetto di fotoelemento a quello di pixel. Spesso i due termini vengono confusi malgrado abbiano significati completamente differenti. Come abbiamo visto, il fotoelemento è il componente elettronico elementare del sensore. I fotoni che colpiscono un fotoelemento generano un segnale proporzionale al loro numero. Questi segnali vengono poi discretizzati durante il processo di conversione analogico - digitale. Alla matrice fisica di fotoelementi del sensore è così associata una matrice numerica dove ogni elemento è detto pixel. A partire dalle informazioni contenute in ciascun pixel sarà poi possibile costruire l’immagine che vedremo visualizzata sullo schermo. In figura è rappresentata la relazione tra fotoelemento e pixel nel caso di illuminazione da parte di un disco stellare (cerchio giallo).


La matrice di Bayer

Quando parliamo di DSLR a colori cadiamo spesso in errore pensando che il sensore CMOS o CCD sia realmente sensibile al colore. In realtà il sensore, così come i fotoelementi sono in bianco e nero. Allora come è possibile che le immagini riprese con la nostra macchina fotografica digitale appaiano a colori? Il segreto sta nell’interposizione di quattro filtri colorati di fronte ad ogni fotoelemento. La configurazione più comune è la RGBG o comunemente RGB in cui i quattro filtri sono due verdi, uno rosso ed uno blu. In questo modo, nel caso della Canon EOS 40D di 10 milioni di fotoelementi del sensore, circa 2.5 milioni sono sensibili al rosso, 2.5 milioni al blu e 5.0 milioni al verde. Il fatto che i fotoelementi sensibili al verde siano in sovrannumero è dovuto alla maggior sensibilità dell’occhio umano a queste frequenze.
A partire dai segnali nei canali rosso, verde e blu è possibile tramite un’opportuna combinazione estrarre informazioni sulla luminosità e colore dell’oggetto. Questo metodo venne inventato da B. Bayer per la Kodak nel 1975 ed ancor oggi è utilizzato nella maggior parte delle DSLR. La matrice di pixel RGBG disposti come in figura prende il nome di “matrice di Bayer”.
Molteplici sono i metodi che permettono di estrarre informazioni sul colore e luminosità dell’immagine a partire dalla matrice di Bayer. Tra i più noti ricordiamo il metodo dell’interpolazione e del super-pixel. Nel caso invece della somma di più immagini a colori è possibile utilizzare anche il metodo Bayer drizzle. Per maggiori informazioni su questi metodi di combinazione si legga la guida tecnica di DeepSkyStacker.


L’immagine digitale

Dopo aver distinto tra fotoelemento e pixel è possibile definire l’immagine digitale come una matrice di numeri che rappresentano, per ogni canale (ad esempio rosso, verde e blu), i livelli di luminosità. Tali numeri sono definiti pixel. In figura è illustrata un’immagine vista dall’utente e dal computer. Ogni elemento di immagine è un pixel.
I livelli di luminosità abbiamo visto dipendere dal numero di bit utilizzati nel processo di digitalizzazione del segnale analogico generato dal sensore. Per quanto riguarda la Canon EOS 40D, per ogni canale, i livelli di luminosità sono 16.384 (14 bit). L’occhio umano non sa però distinguere più di 256 livelli di luminosità e quindi immagini a 8 bit possono ritenersi più che buone. Questo non è però vero per quanto riguarda la somma di immagini dove la qualità del risultato aumenta all’aumentare del numero di livelli di luminosità delle singole immagini.
Concludendo, un’immagine digitale è quindi costituita, per ciascun canale (RGB), da una matrice di pixel. Ciascun pixel è rappresentato a sua volta da un numero compreso tra 0 e , dove   è il numero di bit che rappresenta il suo livello di luminosità. Al fine di non perdere queste preziose informazioni è necessario memorizzare la nostra immagine digitale in un file.


File RAW (CR2)
Il formato RAW significa appunto immagine “grezza”, non processata. Questa immagine non è visualizzabile a video direttamente ma contiene tutte le informazioni così come generate dal sensore CCD o CMOS. In particolare nella maggior parte delle DSLR le informazioni sono memorizzate basandosi su uno schema a matrice di Bayer la quale può essere successivamente processata secondo uno degli schemi precedentemente accennati. Questo è il formato ideale per la somma di immagini astronomiche e non solo, dato che nei file RAW sono contenute tutte le informazioni che possono essere estratte dalla nostra DSLR. Nel caso della Canon EOS 40D le immagini in formato CRW (estinzione *.CR2) sono, per quanto detto precedentemente, immagini a 14 bit. I file RAW contengono inoltre informazioni sulla posa che vengono opportunamente scritte nell’header del file.


File TIFF
Il formato TIFF (Tagged Image File Format) è il migliore dopo il RAW. Di file TIFF ne esistono una grande varietà: a 8 bit, a 16 bit, in scala di grigio, RGB o CMYK, non compressi, compressi LZW o RLE, su piani multipli o no (immagini su più pagine). Dato che la compressione LZW è proprietaria dal 2006, molti software gratuiti o a basso prezzo non la supportano.


File JPEG
Questo è il formato più utilizzato dalle DSLR automaticamente elaborato dalla fotocamera. Il file JPEG è compresso e se da un lato occupa meno spazio su disco, dall’altro abbiamo una perdita di dettagli a basso contrasto. Il grado di compressione è regolabile e un file JPEG compresso al minimo è confrontabile in termini di qualità con un file TIFF. File JPEG in colore RGB è lo standard utilizzato per la pubblicazione di fotografie su internet.


File FITS
Questo è il formato più utilizzato per le immagini astronomiche. Sfortunatamente fuori da questo contesto i file FITS sono poco utilizzati e spesso non sono supportati da software non propriamente astronomico. I file FITS sono i più adattabili e possono essere utilizzati a 8 bit, 16 bit, 32 bit e 64 bit con o senza compressione. Questo formato contiene un header in cui sono memorizzate informazioni sulla ripresa e possono essere lette con un comune editor di testo.

2. Somma di Immagini Astronomiche

Light frame
Nel capitolo precedente abbiamo analizzato il funzionamento del sensore, sottolineando l’importanza del formato RAW per la memorizzazione di tutte le informazioni relative alla nostra ripresa.
Consideriamo ora un esempio pratico in cui noi riprendiamo con il nostro telescopio o obbiettivo fotografico una galassia. I fotoni emessi dalla galassia interagiranno con gli atomi di Silicio dei 10 milioni di fotoelementi e verranno convertiti in elettroni che costituiranno il segnale analogico. Questo sarà proporzionale al numero di fotoni che avranno interagito con ciascun fotoelemento durante l’intero tempo di esposizione. Successivamente il segnale analogico (uno per canale) viene convertito in un segnale digitale da cui il concetto di pixel. Il risultato complessivo è la matrice di Bayer RGB in cui in ogni pixel è riportato un valore numerico che rappresenta il livello di luminosità compreso tra 0 (nero) e (bianco) dove è il numero di bit utilizzato per la codifica analogico – digitale. Nel caso della Canon EOS 40D . A questo punto i dati relativi alla ripresa (tipo di fotocamera, tempo di esposizione, diaframma, ISO …) insieme alla matrice di Bayer per i canali RGB vengono memorizzati in un file RAW.

Alla fine della nostra ripresa fotografica avremo quindi un file RAW che, anche se non è ancora un’immagine digitale vera e propria, contiene tutte le informazioni necessarie per crearla.
Con un abuso di notazione chiameremo con la parola “immagini” tali file RAW.
Definiamo perciò light frame l’immagine della galassia ripresa. Questo light frame è importantissimo e rappresenta l’immagine originale, senza modifiche, elaborazione o compressioni ed è perciò importante crearne una copia di backup.
Il light frame non contiene però solo il segnale della galassia, ovvero l’immagine della galassia vera, così come la vedono i nostri occhi (o anche meglio), ma altri tipi di segnali indesiderati a ciascuno dei quali è associato un certo livello di rumore. Tra i segnali indesiderati ricordiamo i più importanti:
·         Segnale di BIAS e segnale termico,
·         Non uniformità del campo di ripresa, vignettatura, polvere, differente sensibilità di ciascun fotoelemento, …
Nei prossimi paragrafi analizzeremo uno a uno questi segnali indesiderati, cercando di sottrarli dal nostro light frame.


Segnale termico
Il primo dei segnali indesiderati presenti nel light frame è il segnale termico o corrente di buio. Per capire questo segnale bisogna fare un passo indietro e considerare di nuovo il funzionamento del fotoelemento a semiconduttore. Abbiamo visto come il segnale generato dal singolo fotoelemento sia dovuto all’accumulo di elettroni “strappati” ai nuclei di Silicio a seguito dell’urto di un fotone. Naturale pensare quindi che se non ci sono fotoni (ovvero il fotoelemento è al buio) i nuclei di Silicio trattengono i loro elettroni e quindi non abbiamo segnale. Ebbene non è esattamente così. L’agitazione termica può infatti indurre alcuni elettroni a passare dalla banda di valenza a quella di conduzione e quindi generare un segnale spurio. Tale segnale è appunto il segnale termico.


BIAS frame
Un altro segnale indesiderato presente nel light frame è il segnale elettronico o di lettura. Immaginiamo ora che i fotoelementi a semiconduttore si comportino in maniera ideale. Se questi non vengono illuminati allora non ci sono fotoni e quindi elettroni liberi. Questa condizione genererebbe un segnale analogico nullo. Tale segnale poi sarà processato da una catena elettronica (dal fotoelemento al sensore, convertitore analogico – digitale, …). Dato che questa non è ideale ma costituita da componenti reali, il segnale finale non sarà una matrice di pixel con livello di luminosità 0 ma quello che prende il nome di BIAS frame.
Il BIAS frame non è quindi legato al processo di fotorivelazione ma unicamente all’elettronica della nostra SLDR. Il light frame conterrà quindi, oltre al segnale della galassia anche il segnale elettronico che dovrà essere quindi sottratto. Come fare ciò?
Quello che si deve realizzare è un BIAS frame ovvero la risposta dell’elettronica all’assenza di segnale da parte del sensore. Come detto precedentemente avremmo bisogno di un sensore ideale che riprenda un’immagine di buio assoluto. Sensore ideale significa privo di segnale termico. Per fare questo dovremmo concettualmente esporre con tempo di esposizione nullo. Questo non è possibile. Quello che possiamo fare è quindi esporre con il tempo più veloce possibile. Nel caso della Canon EOS 40D tale tempo di esposizione è 1/8000 di secondo. Ovviamente l’esposizione deve avvenire al buio e questo può essere ottenuto tappando il nostro sistema ottico (telescopio o obbiettivo). Ecco quindi che oltre al light frame, memorizzato in un file RAW, abbiamo anche il BIAS frame, sempre memorizzato in un file RAW.


Dark frame
Definito il BIAS frame, come ricostruire un’immagine del segnale termico (detto thermal frame) associato al nostro light frame? La risposta è con il dark frame. Il Dark frame è un’immagine con tempo di esposizione uguale a quello del light frame ma ripresa in condizioni di buio. Tale immagine è però soggetta come il light frame al segnale elettronico. Il thermal frame sarò quindi dato dalla sottrazione del BIAS frame dal dark frame. Per realizzare il dark frame basta quindi tappare il nostro sistema ottico (telescopio o obbiettivo) e riprendere un’immagine (altro file RAW) con lo stesso tempo di esposizione del light frame.


Flat frame
A questo punto non ci rimane che studiare l’ultimo tipo di segnale ovvero quello che dipende dalle non uniformità della ripresa come campo distorto, vignettatura, povere, non idealità dei fotoelementi, …
Per fare questo è necessario riprendere una superficie uniformemente illuminata senza modificare l’ottica e la posizione della fotocamera digitale. Se il nostro sensore fosse ideale allora ogni fotoelemento è irraggiato dallo stesso numero di fotoni e quindi medesima altezza del segnale prodotto. Questo non avviene poiché ogni fotoelemento ha una differente sensibilità. Inoltre dei granelli di polvere depositati sul filtro IR posto di fronte al sensore potrebbero parzialmente oscurare alcuni fotoelementi. Infine ricordiamo che anche l’ottica utilizzata (obbiettivo o telescopio) potrebbero trasformare una sorgente uniforme di luce in una non uniforme sul sensore a causa di difetti ottici come la vignettatura. Riprendendo quindi l’immagine di una sorgente uniformemente illuminata è possibile estrarre informazioni su tutti questi tipi di “difetti”. Tale immagine prende il nome di flat frame. Per realizzare il flat frame è quindi necessario riprendere una superficie uniformemente illuminata (con una flat box per esempio) senza modificare l’ottica e la posizione della fotocamera digitale. Il tempo di esposizione deve essere scelto in modo che il livello di luminosità medio sia circa il 50% di quello di saturazione. Per fare questo è consigliabile farsi aiutare dall’istogramma (vedi capitolo sull’elaborazione di immagini astronomiche). Gli ISO ed il diaframma dovranno essere impostati con lo stesso valore del light frame. Ovviamente anche il flat frame sarà soggetto al segnale di BIAS e termico che dovranno essere sottratti. Se le condizioni di ripresa del BIAS frame per il light frame sono le stesse in cui è stato ripreso il flat frame (condizioni ambientali invariate) allora non è necessario riprendere un altro BIAS frame. Dato che invece il tempo di esposizione del flat frame è generalmente diverso da quello del light frame sarà necessario riprendere anche il dark frame relativo al flat frame.


Rumore e calibrazione del light frame
Sino ad ora si è discusso di segnali spuri di tipo termico, elettronico o di flat. Abbiamo sempre utilizzato la parola segnale al fine di indicare la riproducibilità degli stessi. Infatti un dark frame, un BIAS frame o un flat frame effettuati nelle stesse condizioni riproducono “quasi” lo stesso tipo di immagine. Il quasi sta ad indicare che ogni ripresa e sempre diversa da un’altra in quanto soggetta a rumore. Nella parola “rumore” riassumiamo una serie di fenomeni che non permettono la perfetta riproducibilità di un’immagine pur operando nelle stesse identiche condizioni. Quindi se illuminiamo uniformemente un fotoelemento con una sorgente di luce, alla valle della catena di acquisizione vedremo un livello di luminosità che varia nel tempo in modo sostanzialmente casuale. Ora supponiamo di avere un fotoelemento che riceve per ogni esposizione 100 fotoni. Supponendo di trascurare i segnali spuri, il solo rumore farà si che alla fine il livello di luminosità del pixel sia 100, 101, 99, 100, 101, 99, 99, 101, 100, … variando di esposizione in esposizione malgrado le condizioni di posa siano rimaste inalterate. Se ora però supponiamo di effettuare 9 pose identiche ed effettuiamo per il fotoelemento considerato la media del livello di luminosità del pixel allora (100 + 101 + 99 + 100 + 101 + 99 + 99 + 101 + 100)/9 = 100. Questo significa che se il singolo scatto può fluttuare tra 99 a 101 in modo casuale, la media fornisce un valore più simile a quello vero. Quanto simile? Dipende dall’operazione che si effettua sul pixel. Per la maggior parte dei metodi (media, mediana, kappa – sigma clipping, media pesata auto adattiva, …) il rapporto segnale rumore aumenta con la radice quadrata del numero di scatti (frame). Se in una posa una stella ha un livello di luminosità 100 con rumore 1 il relativo rapporto segnale rumore è (S/N è il simbolo del rapporto segnale rumore dove N sta per noise ovvero rumore in inglese). Se ora facciamo 10 riprese “identiche” della stessa stella allora il rapporto segnale rumore diviene . Cosa significa questo? Che se prima avevo una fluttuazione sull’immagine pari all’1.0% mediando 10 frame avrò una fluttuazione sull’immagine pari al 0.3%.
La riduzione del rumore o meglio l’aumento del rapporto segnale rumore significa un aumento dei dettagli dell’immagine. Maggiori quindi saranno il numero di frame e maggiore sarà la qualità dell’immagine finale.
Questo può (deve) essere fatto con tutti i frame precedentemente analizzati, light frame, dark frame, bias frame, flat frame, dark flat frame e bias flat frame. Il procedimento più corretto è ridurre il rumore di tutti i frame contenenti segnali spuri. Tali frame si chiameranno master. Quindi il primo passo per la combinazione delle immagini digitali è creare i master dark frame, master bias frame, master flat frame, master dark flat frame e se necessario il master bias flat frame.
A questo punto si procede con il processo di calibrazione del light frame, ovvero per ogni light frame si effettua la seguente operazione pixel a pixel:






Alla fine di questo procedimento avremo tanti light frame calibrati ovvero light frame a cui sono stati sottratti i segnali spuri.


Allineamento e combinazione delle immagini
Una volta ottenuto il nostro insieme di light frame calibrati, non ci resta che ridurne il rumore operando su di essi come abbiamo fatto per i dark, flat, … . Quindi pixel per pixel è possibile effettuare la media, la mediana, … dei livelli di luminosità ottenendo il master light frame calibrato. Dato però che l’inseguimento effettuato da una qualsiasi montatura astronomica non è mai perfetto, è necessario allineare le immagini prima di combinarle. Infine è possibile anche sottrarre ai singoli light frame calibrati i pixel caldi e freddi ovvero i fotoelementi a semiconduttori del sensore non funzionanti e che quindi generano sempre un segnale identico e ovviamente sbagliato. Tutte queste funzioni oltre a quelle di costruzione dei master frame dei segnali spuri vengono effettuati da molti software dedicati, tra cui ricordiamo il gratuito DeepSkyStacker (ricordiamo che stacker in inglese significa combinazione di immagini) o IRIS. Per maggiori dettagli sul funzionamento dei suddetti programmi vi invitiamo a leggere i manuali utente disponibili agli indirizzi http://deepskystacker.free.fr/english/index.html e http://www.astrosurf.com/buil/us/iris/iris.htm .

3. Elaborazioni di Immagini Astronomiche

Livelli di luminosità e l’istogramma
Abbiamo visto come il processo di digitalizzazione del segnale prodotto dal sensore produce una matrice di pixel in cui il numero di elettroni raccolto in ogni fotoelemento viene tradotto in un numero compreso tra 0 e , dove  è il numero di bit con cui viene digitalizzato il segnale. Tale numero viene spesso indicato come livello di luminosità e l’unità di misura è detta ADU (Analog to Digital Unit). L’occhio umano non può però distinguere più di 256 livelli (ovvero i nostri occhi sono a 8 bit) e per questo, qualsiasi sia il numero di bit dell’immagine RAW, alla fine del nostro processo di elaborazione dovremo convertire l’immagine in una a 8 bit. Per lo stesso motivo alcuni programmi di elaborazione come Photoshop presentano sempre scale di livelli di luminosità a 8 bit anche se l’immagine è stata digitalizzata a valori di bit superiori. Come facilmente intuibile 0 ADU rappresenta il colore nero e 255 ADU il colore bianco. Tra 0 e 255 si trova tutta la varietà di grigi (ricordiamo che le immagini prodotte dalla DSLR sono in bianco e nero).
Quando riprendiamo un’immagine digitale quindi, ogni pixel avrà per ogni canale (ad esempio RGB) un livello di luminosità misurato in ADU. Se ora rappresentiamo in un grafico la distribuzione dei pixel per un dato valore di luminosità otteniamo quello che comunemente prende il nome di istogramma.
Per quanto riguarda la fotografia astronomica l’istogramma può assumere diverse forme a seconda del soggetto ripreso. Se siamo di fronte ad un oggetto diffuso come una nebulosa allora l’istogramma avrà un picco per bassi valori di ADU associato al fondo cielo ed una lunga coda che si prolungherà fino al valore di 256 ADU che rappresenta le stelle e le parti più luminose (bianche) della nebulosa. Nella coda troviamo tutta la varietà di grigi associata alle varie sfumature della nebulosa. 




 Nel caso invece di riprese planetarie allora avremo nuovamente un picco nella zona a bassi ADU associato al fondo cielo ma invece della coda avremo una distribuzione complessa che dipenderà dalla colorazione della superficie (o atmosfera) del pianeta.



Anche se in modo diverso dalla fotografia diurna l’istogramma può darci informazioni riguardo alla corretta esposizione della nostra immagine. Immagini sottoesposte avranno un istogramma sostanzialmente concentrato intorno ad un valore basso di ADU, mentre immagini sovraesposte avranno lo stesso picco ma intorno a valori alti di ADU. Ovvio che molto dipende anche dal soggetto che stiamo riprendendo. Ma cosa succede se l’immagine non ha tutte le varietà di grigio? L’istogramma sarà allora diverso da zero solo in una zona limitata di ADU. In questo caso è possibile elaborare l’immagine in modo da estendere questa zona a tutti i possibili valori di ADU. Tale processo prende il nome di equalizzazione dell’istogramma.


Correzione della Gamma
Abbiamo visto nei precedenti capitoli come l’immagine RAW sia una “traduzione” in pixel della carica elettrica accumulata nei singoli fotoelementi. Tale carica è proporzionale (o in relazione lineare) al numero di fotoni e quindi alla luminosità dell’oggetto ripreso. L’occhio umano a sua volta trasformerà i fotoni prodotti dai singoli pixel in segnale in grado di generare l’immagine nel nostro cervello. Questa seconda trasformazione è però non lineare, dato che l’occhio è più sensibile ai mezzi toni ed alle differenze chiaro – scuro. Matematicamente questo si traduce in una risposta logaritmica dei nostri occhi alla luce. In generale è quindi necessario tarare lo strumento con cui osserviamo l’immagine digitale in modo che la sua risposta alla luminosità fornita dal sensore sia il più possibile simile a quella dell’occhio umano. Questo per evitare che l’occhio umano percepisca come sottoesposta un’immagine ricca di mezzi toni scuri. In generale possiamo definire:







dove . Il parametro gamma ci dice quanto la luminosità percepita differisca dalla vera rispetto ad una relazione di tipo lineare data da . Lo schermo dei nostri LCD, monitor, stampanti a colori o fotografiche devono simulare il più possibile la luminosità percepita dal nostro occhio. In questo modo, per non perdere informazioni, è necessario correggere l’immagine digitale in modo da rimettere in relazione lineare il numero di fotoni dell’oggetto e la luminosità dello stesso cosi come si raffigura nel nostro cervello. Tale correzione può essere realizzata attraverso la formula:






Questa correzione è necessaria per rendere correttamente visibile l’immagine all’occhio umano e normalmente viene effettuata dai software di elaborazione di immagini astronomiche o dalla DSLR nel caso scattassimo le nostre fotografie in formato JPEG.




Calibrazione del colore
Una volta elaborata la nostra immagine astronomica digitale, otteniamo un’immagine a colori corretta in tutti  i canali (per esempio RGB). A questo punto non è detto che i colori della nostra immagini siano esattamente quelli reali o in ogni caso l’immagine potrebbe avere una dominante. Per risolvere questo problema alcuni programmi di elaborazione come Photoshop ma anche lo stesso IRIS permette di pesare (regolare) i tre canali in modo differente, correggendo così l’eventuale colore dominante. Nel caso della Canon EOS 40D i pesi dei tre canali sono generalmente: Rosso 1.96, Verde 1.00, Blu 1.23.
Questi dovrebbero fornire un’immagine con colori in buona approssimazione simili a quelli reali. Se invece si vuole effettuare delle misure fotometriche (ovvero avere un’immagine con i colori reali) allora la calibrazione del colore può divenire più complicata.
Una volta calibrato il colore è possibile, sempre con i software per l’elaborazione delle immagini digitali, agire sulla luminosità e il contrasto dell’immagine, le curve, oppure sulla correzione dei colori per i chiari, i scuri o i mezzi toni in modo da dare all’immagine l’aspetto che preferiamo. Questi metodi insieme all’applicazione di maschere, deconvoluzione dell’immagine, riduzione dell’inquinamento luminoso, eccetera non saranno trattati in questo documento.

4. Bibliografia

[1] Digital SLR Astrophotography, M. A. Covington, Cambridge University Press, 2007 .
[2] Deep Sky Stacker User’s Manual, http://www.deepskystacker.free.fr .
[3] Blog di Martino Nicolini, http://astronomiadigitale.blogspot.com .
[4] Canon EOS 40D, http://www.imaging-resource.com .